Abitare il pavimento

(di Cristina Polli) – luglio 2019

L’osservazione del mondo è molto più complessa della semplice attivazione del cervello visivo; implica anche, per esempio, l’attivazione di componenti sensori-motorie ed affettive. La nostra è un’osservazione  multimodale,  sinestetica,  connessa all’esperienza  che ci permette di entrare in relazione con ogni cosa, provando emozioni ed esplicitando comportamenti. Come sosteneva J. Gibson “Il significato o il valore di una cosa, sta in quello che essa ci invita a fare (affordance)”.
Nella scena globale ogni luogo è composto da numerosi elementi, ognuno parte di un tutto, aventi proprie valenze specifiche che interagiscono con il nostro sistema percettivo. Siamo consapevoli della presenza di dimensioni, distanze, profondità, del fatto che ci spostiamo su superfici in un ambiente che subisce la forza di gravità, in quanto da animali “mobili”  quali  siamo,  i  nostri  occhi,  affiancati  l’uno  all’altro  (vediamo  con  effetto stereoscopico), si sono evoluti e adattati in un contesto dove per l’appunto sussistevano la gravità e le tre dimensioni.

Anche lo “spazio pavimento” è quindi vissuto attraverso il nostro corpo, la nostra soggettività, la nostra capacità di interpretare la scena e di relazionarci con essa.
Biologicamente, fisiologicamente, in esso cerchiamo un’istintiva connotazione di sicurezza e solidità; non a caso nel momento in cui psicologicamente siamo indifesi, perdiamo il controllo, diciamo che “ci manca la terra sotto i piedi”. Ciò che è calpestabile è unito all’archetipo della terra, madre matrigna, suolo dal quale nasce la vita (l’albero, le radici), elemento che ci permette di “stare”, sostare, esserci nello stato di animali verticali che si muovono, camminano e sanno orientarsi.. Lo spazio orizzontale, che impariamo a conoscere da subito, gattonando da bambini, in modalità polisensoriale, toccando e facendo esperienza del nostro corpo, suggerisce azioni e attiva risposte.


Scuola primaria Pombia (NO) Studio 3705 e C. Polli, percorsi

Abbiamo necessità quindi – questione davvero di vari equilibri – di stabilità e solidità; nel pavimento cerchiamo materie, forme, geometrie e colori capaci di rassicurarci e non di confonderci o di destabilizzarci. Ciò perché desideriamo vivere in ambienti che rispondano al nostro innato bisogno di sopravvivenza e camminare su superfici instabili, pericolose, o poco leggibili, in alcuni casi buie, è esattamente il contrario di ciò che vorremmo.
In ogni ambito, anche quello privato, abitativo (pur sapendo che in tal caso prevale la soggettività degli utenti e le scelte verranno effettuate rispettando le loro peculiarità), il pavimento dovrebbe essere progettato tenendo conto di tutti gli aspetti percettivi, tra cui logicamente il colore.

Ceramiche Refin – Fossil

“Avila definisce immagine dell’ambiente il risultato di un processo bilaterale fra l’osservatore e ciò che lo circonda, su tre livelli di comunicazione: quello sensoriale percettivo, quello mentale cognitivo e quello affettivo e di valutazione, riferiti ai tre aspetti quantitativi dell’immagine: identità, struttura, significato, per i quali il colore riveste un ruolo fondamentale.” (L-R. Ronchi, S. Rizzo, pag. 39)

Per rispondere alle esigenze biologiche di cui in precedenza si parlava, la superficie sotto i nostri piedi dovrebbe apparire soprattutto sicura. Camminare su un piano opaco, più scuro, caldo alla vista, rincuorante, rientra nella nostra natura. Più complicato caracollare su pavimenti lucidi, troppo chiari, a vetro o addirittura trasparenti (si veda il famoso esperimento di E.J.Gibson e R.D. Walk, The visual cliff, 1960, ove si prova che la visione della distanza compare precocemente, già in bimbi molto piccoli, i quali evitano di avvicinarsi troppo a un apparente precipizio e mostrano grande disagio se vengono posti su una superficie trasparente che lo sovrasta). Non possiamo ritrovare stabilità sopra un elemento che ci rimanda all’acqua e che percepiamo freddo, distante, o peggio che identifichiamo come un vuoto pericoloso. Pare le persone sembrino non gradire pavimentazioni con vetri a specchio e non per questioni soggettive, ma per precise ragioni neurologiche.
Più complessa la progettazione in spazi collettivi, pubblici, specialmente se ci rivolgiamo ad un utenza sensibile. Per una progettazione globale di tali spazi bisogna innanzitutto riferirsi a quello che Kevin Lynch (1960) chiamò wayfinding (letteralmente, trovare la strada), ovvero l’uso coerente e la precisa organizzazioni di segnali sensoriali, di sistemi comunicativi, atti a rendere comprensibili i luoghi e ad aiutare i fruitori ad orientarsi.

Un buon intervento di wayfinding deve essere studiato e distribuito per facilitare l’orientamento (per es. condurre persone estranee ad un edificio, ad un punto desiderato, senza far porre domande durante il percorso e senza incertezze che implichino perdite di tempo). Deve rispondere a domande come: Dove mi trovo? Dove devo andare? Come saprò di esserci arrivato?, attraverso segnali d’informazione, segnali di percorso, segnali di identificazione. Colore, forme, segni, sistemi allogativi situati coerentemente anche sulla superficie di calpestio, possono perciò contribuire ad agevolare la lettura dei luoghi, la fruizione degli stessi e i comportamenti delle persone.

Pavimento in resina con foglie vere – Teknai

Per quanto riguarda invece la scelta del materiale dovremmo tener presente che: “ La prima cosa che le neuroscienze ci dicono sui materiali è che, da organismi viventi quali siamo, ci rapportiamo al mondo attraverso i nostri sensi e le sensazioni corporee interne , ossia, attraverso le diverse aree sensoriali che rispondono a stimoli visivi, uditivi, tattili, olfattivi, cinestetici dei nostri ambienti. Inoltre, queste esperienze sensoriali sono sempre multimodali o cross-modali: percepiamo il nostro ambiente attraverso tutti i nostri sensi contemporaneamente e in parallelo. (…) con ogni materiale di cui facciamo esperienza per mezzo della visione entriamo in contatto per mezzo di un atto incarnato di simulazione tattile.” E ancora: “Alcuni colori o trattamenti dei materiali possono avere un effetto riposante, mentre altri possono averne uno eccitante o sorprendente. Alcuni materiali possono essere creativi e nuovi nel loro uso, mentre altri possono essere tradizionali o evocare certi ricordi o associazioni. Alcuni materiali possono risultare attraenti per le loro qualità tattili, mentre altri respingono la mano umana così come qualsiasi desiderio di contatto. La scelta dei materiali e il contesto in cui li inseriamo definisce già gran parte dell’esperienza architettonica.” (H. F. Mallgrave, pag. 182,183).

Le colonne di Buren nella corte del Palais Royal

Ribadisco, per finire, che ogni intervento, ogni scelta, dovrà essere valutato a sé, mediante un’accurata analisi metaprogettuale e considerando tutte le variabili del caso (enorme differenza intervenire, per esempio, in una casa di cura per persone con deficit cognitivi, piuttosto che in una scuola primaria), ma soprattutto partendo dal chi, ovvero dai percettori e dai loro bisogni. Solo analizzando accuratamente i desiderata, le modalità del vissuto, le esigenze diversificate dei fruitori, i loro movimenti, le loro emozioni, potremmo individuare le fasi del nostro progetto e i reali obiettivi.

Bibliografia
F. Mallgrave, “L’empatia degli spazi”, Architettura e neuroscienze, Raffaello Cortina Editore, MI, 2015
L-R. Ronchi, S. Rizzo, “La Ricerca di Avanguardia vista dall’AIC nel Terzo Millennio”, parte I, L’uomo e l’ambiente, Fond.ne Ronchi, LXXVIII
Frova, “Luce colore visione”, Superbur, MI, 2000
P.Bressan, “Il colore della luna. Come vediamo e perché”, Ed.Laterza, Roma-Bari, 2007
Lynch, “L’immagine della città”, Marsilio, VE, 1982
J.J. Gibson, “Un approccio ecologico alla percezione visiva”, Il Mulino, 1999

Distribuiamo in esclusiva sul territorio italiano tutti i prodotti e servizi legati al sistema NCS – Natural Colour System®©. NCS – Natural Colour System®© è un sistema logico di ordinamento dei colori che si fonda cu come questi vengono percepito dall'uomo.

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