(di Cristina Polli) – gennaio 2019
Entrare in un negozio di abbigliamento e chiedere, per favore, di farci vedere un cappotto marrone, rientra nella normalità. E’ semplice utilizzare, nella vita di tutti i giorni, una comunicazione riferita ai colori, che spazia da fantasiosi abbinamenti a complicati voli pindarici. Salvo poi non comprendersi con la commessa del negozio che ci propone marroni che non ci piacciono o che non percepiamo allo stesso modo. “Un po’ più scuro?? Un po’ meno castagna?”
Quando denominiamo i colori, la nostra percezione si basa su categorie linguistiche. Memorizziamo la categoria anziché la sensazione (Davidoff ed Ostergaard, 1987), per cui un “marrone”, per esempio, diviene il referente di “un’intera famiglia di marroni”.
Nell’ambito di studi linguistici e antropologici, attraverso l’ipotesi riduzionista, a contrasto con quella del relativismo linguistico, Berlin e Kay (1958 -1969) dimostrano che esiste un numero limitato di nomi chiave, undici per l’esattezza, universali, le cosiddette “ categorizzazioni monolexemiche” o a nome singolo, che – come direbbe la Ronchi (2000) – aprono una “finestra naturalistica sul mondo della percezione”.
In effetti tali ricerche vennero supportate negli anni successivi da altri studi sia in campo strettamente linguistico, che psicologico e neurofisiologico.
“Confrontando, in una ricerca empirica, i significati dei termini di colore secondo i parlanti di venti lingue diverse e allargando in seguito il quadro, a partire da dati bibliografici pregressi, ad altre settantotto lingue senza alcun particolare nesso generico fra loro, i due studiosi sono arrivati a dimostrare come in tutte le lingue del mondo si trovino, al di là delle possibili differenze lessicali, undici termini fondamentali a cui tutti gli altri possono essere ricondotti.” (M. Agnello, pag. 50)
Il lessico di base analizzato trascende le differenze linguistiche e si fonda su principi percettivi, biologici e fisiologici universali, per cui il significato dei termini di colore di tutte le lingue del mondo pare avere le stesse regole semantiche; tutte le lingue possiedono almeno due termini per indicare il bianco e il nero, a seguire se i termini di base diventano tre, il terzo elemento sarà sempre rosso e così via, in una scala così ordinata: nero, bianco, rosso, verde, giallo, blu, marrone, porpora, rosa, arancio, grigio. La scala segue l’evoluzione antropologica.
Al di là delle possibili considerazioni sulla collocazione delle ipotesi di Barlin e Kay, per lo più di stampo naturalistica e di fatto opposta a quella culturalista, dubbiosa sui metodi di ricerca utilizzati dagli studiosi, l’analisi interessò, negli anni a seguire, storici e antropologi, che l’utilizzarono per ulteriori sviluppi, comprendendovi aspetti prettamente culturali.
Le categorizzazioni linguistiche sono a tutti gli effetti un fatto culturale.
Nel momento in cui ci approcciamo al progetto e alla gestione, comunicazione del colore, le categorizzazioni non ci sono più d’aiuto e dobbiamo riferirci ad un naming appropriato, connesso alla percezione del colore – che valuta la componente cromatica considerandone tinta, chiarezza e cromaticità – e che si avvale di notazioni precise, facilmente governabili e comunicabili.
Riprendiamo l’esempio del marrone. Un colore, per altro e non una tinta.
Il marrone che colore è?
Se consideriamo il Sistema NCS ed osserviamo il cerchio cromatico, ove vengono collocate le quaranta tinte, di sicuro non possiamo trovare quello che siamo soliti chiamare marrone, di qualsiasi natura tale marrone sia. Dobbiamo entrare nella sezione verticale dello spazio dei colori per scoprire che di marroni ne esistono parecchi, ma sono colori – le cosiddette nuances – ovvero tinte con diversi gradi di bianchezza, nerezza e cromaticità.
Prendendo il piano di tinta Y50R, estrapolo alcuni colori (I colori riportati sono indicativi. Per visionare i campioni effettivi al fine di un qualsiasi riscontro progettuale ed applicativo bisogna far riferimento ai reali campioni del sistema NCS).
NCS S 4030-Y50R NCS S 4040-Y50R NCS S 5030-Y50R NCS S 5040-Y50R
NCS S 6020-Y50R NCS S 6030-Y50R NCS S7010-Y50R NCS S 7020-Y50R
Osservandoli, si capisce subito che, pur cogliendone le differenze, sarebbe davvero complicato dare dei nomi diversi ad ognuno di questi “marroni”.
Non ci possiamo permettere di muoverci, come per l’acquisto di un cappotto, in vaghi ambiti di comunicazione verbale fatta di categorie, associazioni, significati culturali, sensazioni soggettive, utilizzati nella quotidianità, ma poco attinenti al mondo del progetto, dove dare indicazioni precise, puntuali è non solo auspicabile, ma necessario.
Lasciamo l’espressione pittoresca – verde menta, giallo polenta, rosso fuoco, marrone mattone, rosa confetto o grigio elefante – alla musicalità del nostro personale vissuto. Come progettisti consapevoli, non permettiamoci equivoci fuorvianti.
Sarebbe imbarazzante proporre al decoratore, o al nostro committente, un bel marrone cappotto appena comprato…
Bibliografia:
- R. Ronchi, “Visione e Illuminazoine alle porte del 2000”, Vol. II, Fondazione Giorgio Ronchi, LXXII, FI, 2000
- Agnello, “Semiotica dei colori”, Carocci Ed. & Bussole, Roma, 2013
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