(di Andrea Cacaci) – novembre 2018
Il tempo della luce

Richard Feynman: Los Alamos identity badges: F (da Wikipedia)
Nel 1985 Richard Feynman, uno dei più grandi fisici del Novecento (Nobel per la fisica nel 1965), pubblica QED La strana teoria della luce e della materia in cui cerca di spiegare ai profani perché la luce rientra nell’alveo della fisica dei quanti. Il testo perlopiù semina dubbi e interrogativi, strumenti essenziali per affrontare il progetto della luce.
Alcune citazioni dal saggio sono particolarmente significative (1).
“Nel 1929 venne elaborata da diversi fisici una nuova teoria che descrive l’interazione quantistica della luce con la materia, e che fu battezzata con l’orribile nome di elettrodinamica quantistica [… che] ha ormai più di cinquant’anni ed è stata verificata con accuratezza sempre maggiore in situazioni sempre più varie. Al momento attuale posso dire con orgoglio che non vi è discrepanza significativa tra la teoria e gli esperimenti.”
“Alla fine racconterò qualcosa anche sulle particelle nucleari; ma nel frattempo parlerò solo di fotoni, le particelle di luce, e di elettroni. Perché l’aspetto più importante, e anche il più interessante, è il loro modo di comportarsi.”
“Dal punto di vista del buon senso l’e. q. descrive una natura assurda. Tuttavia è in perfetto accordo con i dati sperimentali. Mi auguro quindi che riuscirete ad accettare la Natura per quello che è: assurda.”
“Abbiamo un bel lambiccarci il cervello per inventare una teoria ragionevole che spieghi come fa un fotone a decidere se attraversare il vetro o rimbalzare su di esso: è impossibile prevedere che cosa farà il singolo fotone.”
“Bisogna concluderne che la fisica, scienza profondamente esatta, è ridotta a calcolare la sola probabilità di un evento, invece di prevedere che cosa accade in ciascun caso singolo? Ebbene sì. È un ripiegamento, ma le cose stanno proprio così: la natura ci permette di calcolare soltanto delle probabilità. Con tutto ciò la scienza è ancora in piedi.”
“Ed è per questo che, approssimando, possiamo prendere per buona la descrizione del mondo, piuttosto rozza, secondo la quale la luce segue soltanto il percorso che richiede il minimo tempo.”
C’è qualcuno che si occupa di luce da un punto di vista progettuale che conosce alla perfezione le dinamiche, le logiche e i meccanismi di calcolo dell’elettrodinamica quantistica? Eppure questo è il quadro di riferimento che si è sostituito alla fisica classica. Abbiamo tra le mani una materia che non conosciamo a fondo e che quindi non può essere gestita solo col linguaggio della scienza; per riuscire a usarla bene dobbiamo impiegare tutte le nostre capacità, sia intellettuali che non. Per dirla con Goethe dobbiamo recuperare anche altri strumenti: oltre all’azione, nel progetto della luce bisogna usare la passione (2).
L’Effetto Hawthorne

Elton Mayo (https://collections.slsa.sa.gov.au/resource/B+13694)
Più o meno negli stessi anni in cui iniziava l’avventura della fisica quantistica, nella prima metà del Novecento, ad Hawthorne, una cittadina dello stato dell’Illinois, negli impianti industriali della Western Electric Company, veniva condotto un esperimento di natura sociologica che portò risultati tanto inattesi quanto sorprendenti. Lo scopo della ricerca, condotta da Elton Mayo, era di scoprire come le condizioni del lavoro potessero influenzare la produttività degli operai della fabbrica. Lo strumento principale impiegato nella ricerca fu la luce, nello specifico le variazioni dell’illuminazione del posto di lavoro (3).
La sorpresa fu scoprire che la produzione cresce a prescindere dal maggiore o minore livello di illuminamento creato nell’ambiente lavorativo. I primi risultati erano del tutto incongruenti con le premesse teoriche: la produzione aumentava sia che si incrementasse la quantità di luce sia che l’illuminamento diminuisse, sia che si tornasse al livello di partenza.
La conclusione dell’esperimento, da cui venne coniato il concetto di Effetto Hawthorne, fu che il solo atto di osservare fa mutare ciò che si osserva. Chi sente di essere oggetto di attenzioni reagisce cambiando il proprio atteggiamento.
Si comprende bene come ogni elemento di variabilità inserita nell’ambiente rappresenta un potenziale strumento che alza il livello di attenzione dell’utente e contribuisce a mutarne i comportamenti.
La luce è mutevole: ridurla a sostanza sempre uguale a se stessa significa rinunciare a una risorsa di arricchimento del progetto e a uno strumento di interazione sociale.
Bibliografia:
(1) Richard Feynman, QED La strana teoria della luce e della materia, Adelphi.
(2) W. Goethe, La teoria dei colori, Il Saggiatore
(3) Elton Mayo, I problemi umani e socio-politici della civiltà industriale, UTET.
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