(di Besa Misa) – maggio 2016
La popolazione Abelam vive isolata tra le montagne Prince Alexander della provincia Sepik Est di Papua Nuova Guinea. La sua attività più diffusa è l’agricoltura. La vita sociale, culturale e religiosa si incentra infatti sulla coltivazione dell’igname: un tubero con il duplice utilizzo di base alimentare (nella sua varietà più corta) e di oggetto simbolico, coltivato esclusivamente per motivi cerimoniali (nella varietà che può addirittura raggiungere i 3 metri di lunghezza).
Fino agli anni ’80 circa, il ciclo di crescita dell’igname interessava l’intera comunità Abelam al punto da essere accompagnato da veri e propri rituali che culminavano durante le feste annuali chiamate Tambaran, con la pubblica esibizione del raccolto principale sul quale venivano applicate maschere antropomorfe dipinte con i quattro pigmenti base dell’arte locale: bianco, nero, rosso e giallo. Gli stessi colori sono ben visibili nelle decorazioni dei Korambo, le “case degli spiriti” all’interno delle quali avvenivano le iniziazioni dei giovani maschi della tribù.
Trattasi di edifici su piano triangolare di dimensioni ragguardevoli, decorate, soprattutto nella facciata, da stuoie e pannelli lignei con incisioni e pitture raffiguranti soprattutto teste di forma ovale stilizzata. All’interno della casa cerimoniale il giovane iniziato veniva a contatto con oggetti sacri, maschere e sculture che rappresentavano gli esseri mitici e gli spiriti degli antenati. La carica simbolica e impressiva di tali oggetti era indubbiamente alta influenzando il sistema cognitivo e visuale dei giovani. In generale si condizionava anche la loro percezione e classificazione dei colori. La visione e denominazione dei colori per gli Abelam veniva quindi mediata dalle loro pratiche culturali. Se ne trova diretta constatazione tutt’oggi sul piano linguistico: essi possiedono difatti solo i nomi dei quattro colori sopra citati. A nessun’altra tonalità di colore viene attribuito un nome al di fuori del bianco, nero, giallo o rosso e qualsiasi altra tinta viene inserita all’interno di questa quadruplice classificazione.
In quest’ottica, i pigmenti possedevano certamente, non solo un ruolo essenziale per l’espressione artistica della comunità Abelam, ma addirittura una valenza magica perché permettevano di “dare vita” alle sculture, pitture e maschere utilizzate nei rituali. I colori avevano quindi lo scopo di materializzare la forza sovrannaturale attribuita agli oggetti sacri, permettendo la diretta comunicazione tra gli uomini e gli spiriti.
Negli ultimi decenni del secolo scorso si è verificato un processo di urbanizzazione che ha portato gli indigeni Abelam ad un contatto più diretto e frequente con la cultura occidentale e la religione cristiana. Con il cambiamento delle condizioni socio-culturali si è verificata una progressiva dissociazione dalle tradizioni rituali. Ciononostante, l’eredità artistica che tutt’ora è imprescindibile dai colori viene manifestata e celebrata durante i sing-sing festival, occasioni durante le quali le varie tribù della Papua Nuova Guinea si riuniscono per mostrare i propri usi e costumi.
Bibliografia:
A.Forge, “Learning to See in New Guinea,” in Socialization, the Approach from Social Anthropology, ed. P. Mayer (London, 1970), pp. 184-86.
V.Lanternari, “L’”incivilimento dei barbari” identità, migrazioni e neo-razzismo”, ed. Dedalo (Bari, 1997), pp.77-78.
S.Mancini, “Da Lévy-Bruhl all’antropologia cognitiva – Lineamenti di una teoria delle mentalità primitiva”, ed. Dedalo (Bari 1989)
Siti consultati:
http://www.anthropology.pitt.edu/node/233
https://abelamculture.wordpress.com
http://www.everyculture.com/Oceania/Abelam-Economy.html
http://www.madangfestival.org
Immagini prese da:
http://www.flickrhivemind.net
Autore: Besa Misa
Collabora come project coordinator e addetto alle relazioni internazionali presso l’associazione non-profit “Cultura&Solidarietà”.
Contatti:
relazioni.internazionali@culturasolidarieta.it
http://www.culturasolidarieta.it
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