(di Elios Moschella) – novembre 2009

Foto 1: Westminster Academy at the Naim Dangoor Centre, Londra Fonte : Architetti. Com – Maggioli Editore – Numero 8 ottobre 2008 http://www.architetti.com
Il modo migliore per osservare una città è sicuramente quello di percorrerla a piedi.
Solitamente quello che ciascuno ricorda è il singolo edificio o monumento, il rapporto fra i volumi, l‟uso dei materiali, i vuoti e i pieni nelle facciate: insomma la simmetria o meglio l‟armonia della forma architettonica. Sono rari i casi in cui la nostra percezione si concentra sul colore delle architetture e della città. Quando questo avviene è in ogni caso dovuto alla “visione” di un singola opera o spesso di un singolo elemento di arredo urbano. Se vi capitasse di chiedere a un vostro amico o a qualsiasi turista di identificare “il colore di una città” le risposte sarebbero, per lo più o comunque, riferite ai colori della città storica (il rosso dei mattoni, il giallo degli intonaci…). Egli ricorderà, o meglio porrà maggiore attenzione, ai colori di un dipinto esposto in un museo e spesso riuscirà anche ad identificarne il pittore.
Difficilmente l‟attenzione si rivolgerà principalmente al colore di un‟architettura e questo malgrado la teoria e il dibattito su questa tematica abbia ormai origine lontane nel tempo.
Katrin Simons, storico dell‟arte, afferma che: «… Il dibattito riguardo al colore nell‟architettura ha origini remote e frastagliate ed é riconducibile al XVIII-XIX secolo con la così detta “lite policromatica‟ (Catalogo della mostra „Gottfried Semper‟, Monaco di Baviera 2003). All’inizio del secolo, il tema del colore entrò a far parte del dibattito urbanistico e di conseguenza di quello politico…. La breve trattazione che segue sull‟architettura del XX secolo… cerca di analizzare il rapporto fra condizioni sociali e architettura del colore…».
Il colore diventa tematica, 1901/1914
Due correnti di pensiero riguardanti l’uso del colore vennero a formularsi già dall‟inizio del XX secolo: “quando” progettare con il colore e “perché”: quando introdurre il concetto cromatico nel processo progettuale e la responsabilità del colore assunta nei confronti dell‟architettura. Fritz Schumacher già nel 1901 affermava: “… è molto difficile, realizzare un edificio di cui non si è considerato sin dal principio il carattere cromatico, ma per così dire lo si è colorato a posteriori attraverso la scelta del materiale o la tinteggiatura. L‟economia estetica globale di un edificio dovrebbe concentrarsi sin dall‟inizio sul colore…”. Corrispondeva ai rigidi fondamenti teorici di De Stijl, l‟idea mondriana dei colori primari in combinazione a nero, bianco e grigio.
Bauhaus e Weißenhof
Il bianco, per merito dell‟associazione con qualità secondarie come la lindezza e la purezza, diventò il colore della borghesia conservatrice; contemporaneamente, il bianco, rimandando al marmo e di conseguenza al classico antico, evocava sia immagini sia prestiti stilistici. Nel 1919 Adolf Behne scriveva: “Il colore é volgare. Raffinati sono il grigio perla o il bianco. Il blu è ordinario, il rosso è appariscente, il verde estremo … il colore è il contrassegno della formazione, il bianco si avvicina al colore della pelle europea”. In contrapposizioneal bianco puro di Behne, all‟inizio del XX secolo, il colore diventa espressione dell‟utopia sociale e socialistica: il colore è esaltato come originario mezzo espressivo, come riferisce Bruno Taut nella sua relazione di viaggio dalla lituana Kowno al confine con la Russia rivoluzionaria, conferisce individualità e gioia di vivere. Inoltre, essendo ovunque visibile, era sinonimo di internazionalità; il colore non era soltanto “… scadente decorativismo pensato per architetture semplici, per gente semplice, ma anche surrogato per l‟elemento architettonico mancante e comunque bandito”.

Foto 2: Autorimessa e Scuola per l‟infanzia ad Eibar (Spagna). Fonte : Architetti. Com – Maggioli Editore – Numero 8 ottobre 2008 http://www.architetti.com
Pop, Postmoderno e pubblicazioni bianco-nero
Il ritorno del colore in architettura avvenne in modo chiaro ed eclatante: nel 1968, gli accesi colori dell‟allora nuovo quartiere brandeburghese, oggi nei toni “champagne”, provocò una reazione di stupore ma fu comunque etichettata come ”edilizia sociale colorata”.
Nel 1977, il Centro Pompidou, solitario volume nella varietà dei grigi parigini, si inserì in maniera singolare con i colori tipici dei sistemi d’informazione tecnologica. Fu solo nel 1984, con la pubblicazione dell‟articolo “Attraverso la relazione con il colore nell‟architettura” della rivista di architettura tedesca “Bauwelt”, che fu confermata la nuova consapevolezza cromatica che migrò dalla singola opera architettonica come scuole, aeroporti, ecc. all‟edilizia residenziale….
Il colore é oggi definibile come tematica e non come oggetto di controversie1.
Nel chiudere questo interessante estratto non possiamo che rilevare come il “progetto colore” nel suo aspetto teorico abbia ormai raggiunto riguardevoli livelli d‟approfondimento; ma la domanda che sorge spontanea è perché nelle nostre città, e in particolare in quella contemporanea, l‟elemento dominante sia spesso non l‟armonia cromatica ma l’inquinamento visivo, conseguente alla crescita del paesaggio urbano “disordinata” malgrado l‟alto livello di approfondimento del dibattito e della teoria urbanistica.
C‟è qualcosa che sfugge ancora; un processo che dia finalmente sostanza all‟idea.
Uno degli aspetti, a mio modesto avviso, che potrebbero aiutare questo processo è quello che spesso è definito come fenomeno della “ridondanza”: la ripetizione quindi come effetto selettivo nella nostra mente capace di farci osservare, di porre l‟attenzione sul colore, sulle scale cromatiche.
Un processo che potrebbe partire da alcuni elementi architettonici diffusi nella città: penso solo alle “saracinesche” dei nostri negozi e centri commerciali, agli elementi di arredo urbano (cestini, lampioni, insegne…), ai grigi muri dei frontespizi nudi di tanti nostri caseggiati. Perché non proporre piani di intervento che prevedano il rilievo di questi elementi, il loro impatto visivo e un progetto del colore (e per “progetto del colore” si intende un processo che preveda non solo “il disegno” ma anche i costi e il reperimento delle relative risorse).

Foto 3: Esempio di applicazione di un percorso nella Via di Terra Fonte: Colori per l’Expo: progetto per una segnaletica di orientamento – Lia Luzzato. http://www.color-and-colors.it
Appare allora interessante e appropriata la proposta per l‟Expo 2015 di realizzare un progetto di segnaletica orientativa basata sul colore: «… che prevede, nell’ottica di uno scambio reciproco tra EXPO e Città, la valorizzazione di due itinerari specifici culturali e di svago della lunghezza di circa 20 Km definiti come: Via d’Acqua e Via di Terra.
La Via d’Acqua privilegerà la rete dei Navigli mentre la Via di Terra suddividerà la città in quattro percorsi tematici: Creatività, XIX Secolo, Innovazione, Futuro, collegati tutti ad un itinerario principale che porterà fino alla sede espositiva di Rho-Pero.»2
Un primo passo nella direzione di quella ridondanza di cui si accennava in precedenza.
Ci vuole coraggio ma anche investimenti finanziari non solo degli Enti pubblici (oramai orientati al pareggio di bilancio e alla riduzione delle spese “superflue”), ma anche dei grossi produttori. Se non sbaglio l‟ultimo intervento di un privato fu quello realizzato rivestendo di ceramiche una torre di raccolta acquee alla stazione Garibaldi. Un altro singolo episodio… che non aiuta a creare un progetto cromatico diffuso, una “ridondanza” che porti ad identificare il colore come elemento di miglioramento della qualità della nostra vita.
1 Detail , Rivista di architettura, 2003, n 12.
2 Luzzato, L., Colori per l‟Expo: Progetto per una Segnaletica di Orientamento, Fondazione Accademia di Comunicazione.
Rispondi