Design e architettura continuano ad attingere alla “zona grigia” del nostro immaginario. Una tendenza non così casuale: bianchi e neri cromatici, compresi i toni intermedi, sono il frutto di un approccio sempre più “ragionato”.
Il recente ampliamento di NCS – Natural Colour System è avvenuto a seguito di una congiuntura ben precisa, che travalica le logiche aziendali. Le nuove nuance – in numero di 100, aggiunte alle 1950 esistenti – appartengono al range dei grigi cromatici (dai toni più scuri ai più leggeri), ovvero ai neutri lievemente “sporcati” di qualche tinta, calda o fredda che sia.
Il mercato del design e della componentistica edilizia, nonché i consumi, sembra non vogliano allontanarsi dal mondo delle tonalità deboli, caratterizzate da una cromaticità particolarmente bassa. Anzi, l’interesse per questo tipo di nuance si esprime anche attraverso una curiosità sempre crescente verso i grigi particolarmente scuri, che sconfinano addirittura nel nero, sdoganando un antico tabù e opponendosi al trend oramai obsoleto del total white.
A questo punto il nostro gusto e la nostra capacità di selezione possono avvalersi di una vastissima gamma di bianchi cromatici, grigi cromatici e neri cromatici, che rispondono di volta in volta a specifiche esigenze percettive e ambientali. Anzi, queste tonalità stimolano anche la nostra attenzione nei confronti della luce, sia naturale che artificiale. Data la loro bassissima dominanza cromatica, la luce gioca un ruolo determinante nell’esaltare o nell’alterare quella minima percentuale di colore presente nel rivestimento di spazi o di prodotti.
Le gradazioni del bianco partecipano alla creazione di ambienti in cui esso deve assecondare la personalità solenne e scultorea del manufatto (che comunque non coincide affatto con l’idea di minimalismo) oppure creare degli interessanti effetti platici o chiaroscurali. Al contrario, le tonalità più cupe del grigio e lo stesso nero sono protagonisti di una nuova esteticità. Tra suggestioni rock e punk, glamour metropolitano e spiritualità postatomica, il grigio scuro cromatico è protagonista delle case contemporanee, perfino nella reinterpretazione di quelle antiche. E tutto ciò grazie a un semplice principio ottico: i colori bui non possono che schiarirsi sotto l’effetto della luce, assumendo sempre una valenza vellutata, morbida e per nulla soffocante.
Il nero è uno dei colori più affascinanti. A partire dal presupposto che è un “non colore”. Secondo la scienza, infatti, i colori sono determinati dalla luce e si differenziano in base alle lunghezze d’onda della stessa. Se noi vediamo gli oggetti, è perché il materiale da cui sono composti, ricevendo un fascio di luce, ne riflette una parte e ne assorbe altre. Un oggetto rosso, per esempio, riflette e rende visibile la luce rossa e assorbe – rendendole invisibili – tutte le lunghezze d’onda degli altri colori. Ne scaturisce che il bianco è la somma di tutti i colori, mentre il nero, non riflettendo luce, è assenza di colore. Da qui il colore nero definito “non colore”.
Ma non è di scienza che voglio parlare, bensì del fatto di come un “non colore” possa essere così importante quando si parla di colori. Culture ed epoche storiche diverse hanno attribuito e attribuiscono al nero significati e valori differenti. Per noi, ad esempio, ha connotazioni prevalentemente negative. Ma è proprio questo che rende il nero molto particolare e affascinate: se fosse davvero considerato così negativo, perché lo vediamo così diffuso e utilizzato in infiniti settori? Curioso, in questo senso, che oggi un colore che fa tendenza venga definito come “the new black”. Significa forse che il nero è di tendenza sempre ed ovunque?
Nel settore moda sicuramente, in quanto è comunque presente in ogni collezione uomo e donna; un classico mai vecchio o superato, un classico che va oltre sé stesso. Un vero “evergreen”, ma lasciamo perdere questa definizione perché rischiamo perderci fra i colori…
È invece in altri settori che il nero sta vivendo un sorprendente rilancio, fra i quali quello dell’arredo è un esempio molto significativo.
Designer, interior designer, arredatori e architetti ne fanno un largo utilizzo nei loro studi, dall’oggettistica al tessuti, dai mobili alla decorazione delle pareti. Quest’ultima, in particolare, è una dimostrazione sorprendente: chi avrebbe mai pensato fino a qualche tempo fa di dipingere i muri di nero?
Certo non pensiamo ad un ambiente con tutte le pareti realizzate con questo colore, darebbe un senso di claustrofobia e verrebbe meno qualcosa di vitale per il nostro benessere – la luce – ma una sua coerente presenza è in grado di creare soluzioni decisamente nuove. Aggiungiamo che il nero, data la sua “neutralità” da un punto di vista cromatico, valorizza tutti i colori e le tonalità con cui va ad incontrarsi. Con tinte neutre ma con una tendenza cromatica realizza coordinati soft di grande raffinatezza, accostato a colori vivaci ne esalta l’esuberanza e la purezza, con il bianco crea contrasti assoluti, ecc.
Per concludere, mentre pensare al nero a prescindere e avulso da ogni contesto può evocare sensazioni non del tutto positive, inserito in una situazione reale e concreta ma soprattutto ragionata, si configura come qualcosa di sorprendentemente armonioso.
“Non siamo solo circondati dal colore, noi stessi siamo colore.” David Batchelor
I colori che vediamo non sono i colori del mondo, ma i colori della mente, come suggerisce David Scott Kastan; in effetti sappiamo che il colore è una sensazione cerebrale e che il nostro sistema percettivo interpreta ciò che stiamo osservando.
La ricerca delle moderne neuroscienze negli ultimi decenni ha dimostrato inoltre come la visione sia un processo multisensoriale e multimodale. Quando vediamo non si attivano solo le aree visive del cervello, ma anche circuiti cerebrali viscero-motori, sensori-motori, affettivi. Vediamo attraverso gli occhi, ma non solo, siamo coinvolti nell’atto percettivo anche attraverso il sistema motorio, tattile, emotivo. Con la scoperta dei neuroni specchio da parte di un gruppo di ricerca del dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma guidato da Giacomo Rizzolatti, è stato introdotto il concetto di simulazione incarnata (Vittorio Gallese), nozione che si applica alla nostra percezione di oggetti tridimensionali e a quella di spazio e che, come afferma Harry Francis Mallgrave: “…ha implicazioni enormi per i progettisti, perché suggerisce di coinvolgere ambienti costruiti con il nostro corpo intero su una moltitudine di livelli mentre percepiamo l’esperienza. In passato abbiamo ipotizzato che il processo visivo avesse luogo concentrandosi sui dettagli visivi di ogni scena, ma ora sappiamo che il corpo nel suo insieme coglie l’essenza di qualsiasi situazione quasi immediatamente, ossia, prima che aspetti della scena entrino nel focus visivo. Lo facciamo in modo multisensoriale attraverso varie modalità. La percezione non è qualcosa che ci succede passivamente: è qualcosa che facciamo o costruiamo dalle nostre esperienze.”
L’osservazione di ogni scena o scenario, dove il colore viene visto e registrato per primo, è quindi di fatto molto di più di un tragitto stimolo-retina-corteccia occipitale. Ogni esperienza percettiva, come dice Vittorio Lingiardi, è un’esperienza del corpo.
Il colore diviene un elemento fondante nella lettura della scena, dove tutto – anche noi stessi – è sempre in relazione con qualcos’altro. Le sue caratteristiche polisensoriali e l’efficacia nel condurre messaggi trasversali, funzionali o informativi, biologici e culturali, ci possono essere d’ausilio non solo nella fruizione e gestione dello spazio abitato, ma anche nel creare legami affettivi, emozionali con esso.
London design festival 2021- Yinka Ilori
Come il colore diventi un driver comunicativo efficace nella narrazione delle emozioni collegate all’ambiente, ce lo dimostrano anche la letteratura e la cinematografia.
Nel film “Pleasantville” di Gary Ross, del 1998, per esempio, il colore appare come forte elemento di rottura in un ambiente sicuro, limitato e prevedibile, dove non ci sono sorprese e dove tutto è vissuto solo nelle sfumature dei grigi. Pleasantville è una cittadina fittizia degli anni Cinquanta, dove i protagonisti del film, i gemelli Jennifer e David, vengono magicamente trasportati e dove non esiste il colore. Nell’istante in cui iniziano a subentrare le emozioni – Jennifer seduce Skip il capitano della squadra di basket – e di conseguenza i desideri e le passioni, il villaggio gradualmente si tinge di colori. Anche i personaggi, quelli che si affidano alle emozioni, diventano colorati. Alla fine tutto si colora dando un messaggio di possibilità e sfide da provare, di speranze che erano state negate fino a quel momento dal grigiore totale.
Stessa cosa accade nel testo “Flatlandia”, dove Edwin A. Abbott descrive una società monotona, regolare, crudele e gerarchica, nella quale gli abitanti – elementi geometrici piatti – sono privi di colore. Anche in questo caso, passando attraverso la Rivoluzione del Colore, come viene descritta, il colore erompe, scatena reazioni, cambia, rivoluziona, si aggiunge alla realtà bianca e nera, crea il caos, ma soprattutto favorisce emozioni e rende liberi. Alla fine però viene messo al bando, proibito, proprio perché democratico, distruttore di quelle gerarchie sociali e di quelle distinzioni che imponevano un ordine totalitario, strutturato, impositivo.
Nei casi citati si passa da uno stato di monotonia grigia, bianca e nera, alla policromia.
L’assenza di colore rende gli ambienti impoveriti, tristi, incapaci di creare emozioni, impossibili da vivere come appaganti; o addirittura il grigiore attiva una sorta di assuefazione e cecità sociale, dove l’apatia, la noia, la ripetizione vengono scambiate per ineluttabile finta serenità. Non esiste il libero arbitrio, la dimensione della scelta, il cambiamento. La libertà, l’emozione, invece, appartengono al mondo cromatico. Il colore diventa espressione del corpo che si ribella, che decide di essere vivo.
Dopotutto se pensiamo alle reazioni che il nostro corpo ha, in risposta a fattori esterni scatenanti, parliamo subito di colore: la timidezza o l’imbarazzo, non ci fanno forse diventare rossi in volto? Fisiologicamente, arrossiamo quando l’adrenalina fa dilatare i vasi sanguigni del viso che trasportano il sangue alla pelle, attraverso un meccanismo di attacco o fuga di fronte a una minaccia, che coinvolge il sistema nervoso simpatico.
Il colore è una risposta naturale, un messaggio, un’informazione sul nostro essere al mondo e nel mondo. Comunica sempre qualcosa.
Anche lo spazio abitato, se policromo, cioè in grado di fornire più informazioni, può restituire maggiormente risposte adatte al nostro bisogno biologico, piuttosto che un ambiente di un unico colore, dove stanze uniformi – in tal caso senza informazioni – diventano scatole i cui particolari, i volumi e le dimensioni sono lette con fatica dal nostro sistema cerebrale. La monotonia, insomma, un po’ ci stressa.
Secondo Lucia Ronchi (Corth 1983) per milioni di anni i primati sono stati esposti ad una luce diurna che veniva filtrata dalla vegetazione e l’essere umano ha imparato ad abitare spazi, secondo stimoli provenienti da questo ambiente naturale temperato, ricco di una complessità visiva costituita da gradienti di luminosità, colore, texture, materia, contrasti e mutamenti. Ancora oggi valutiamo l’ambiente allo stesso modo. Pertanto la policromia progettata con adatti sistemi allogativi, che mettono in coerenza percettiva l’ambiente con oggetti, arredi, strutture, si rivela un adeguato strumento, in grado di portare equilibrio psicofisiologico alle persone.
Studio dentistico – sala d’aspetto – 2021 – arch. C. Polli
Ogni clima cromatico ha in sé il potere di suggerire relazioni tra persone e cose, tra spazi, persone e cose, agendo anche sulla parte emotiva, affettiva. Sentire un luogo significa creare un collegamento tra il corpo e l’ambiente, consolidare quello che viene definito attaccamento ai luoghi e ciò può avvenire solo se lo spazio di cui facciamo esperienza ci comunica accoglienza, cura, rispetto, facilità di fruizione e di lettura, orientamento.
Da solo il grigio acromatico, monotono e spento, senza respiro e senza differenze, respinge ed isola. Di certo, non ci emoziona.
V.C.O. Formazione – Gravellona – arch. C. Polli
Riferimenti bibiografici
D. Batchelor, “Cromofobia”, B. M. Mondadori, MI, 2001
D.S. Kastan, “Sul colore”, Einaudi, TO, 2018
G. Rizzolatti, C. Sinigaglia, “So quel che fai”, Scienza e Idee, R.C.Editore, MI, 2006
V. Gallese, M. Ardizzi, “Il senso del colore. Tra mondo, corpo e cervello”, pdf
V. Lingiardi, “Mindscapes”, R. Cortina Ed., MI, 2017
P. Inghilleri, “ I luoghi che curano”, R. Cortina Ed.,MI, 2021
E. A. Abbott, “Flatlandia”, Gli Adelphi, MI, 1966
L. Ronchi, “La scienza della visione dal punto di vista delle scene naturali”, Fondazione G. Ronchi, FI
H. F. Mallgrave, “Dall’oggetto all’Esperienza: oltre la teoria”, in: INTERTWINING – 01/2018 – Lombardini 22 – Mimesis Edizioni, MI, 2018
“Dialogo tra Sarah Robinson e Vittorio Gallese” in: NTERTWINING – 01/2018 – Lombardini 22 – Mimesis Edizioni, MI, 2018
Occhi marroni, occhi azzurri, occhi verdi, occhi nocciola e raramente anche occhi viola come Liz Taylor! La natura ha creato delle sfumature di colore meravigliose per i nostri occhi: essi sono lo specchio della nostra anima. Ma vi siete mai chiesti da cosa dipende, come si trasmette e se può cambiare il colore degli occhi?
Con l’aiuto della scienza, vi guidiamo attraverso questo argomento così affascinante.
Il colore degli occhi è un tratto determinato dalla quantità di melanina, un tipo di pigmento contenuto nella pelle, nei capelli e nell’iride, una sottile membrana la cui tonalità può variare dall’azzurro al marrone. L’iride si trova dietro la cornea, di fronte al cristallino, e funziona come il diaframma di una macchina fotografica. Quando c’è molta luce, l’iride e i suoi muscoli stringono la pupilla, il forellino nero al centro dell’iride stessa, in modo da far entrare meno luce; viceversa, in condizioni di luce scarsa, l’iride si rilassa e fa allargare la pupilla in modo da far entrare più luce possibile.
Tornando al colore dell’iride, la melanina è un pigmento biologico prodotto da speciali cellule della pelle, i melanociti. Il colore degli occhi, il colore della pelle e dei capelli dipendono quindi dalla melanina. Tutto questo è a sua volta determinato da una serie di informazioni scritte nei geni di ciascuno di noi. Per il colore degli occhi, in particolare, sono coinvolti diversi geni. Queste informazioni determineranno la quantità e la distribuzione della melanina nell’iride. In breve, i geni associati al colore degli occhi comandano la produzione, distribuzione e concentrazione di melanina all’interno dell’iride. Più c’è melanina in un occhio e più questo sarà scuro. Gli occhi azzurri hanno la melanina distribuita nella parte più interna, mentre quelli scuri nella parte più esterna. Negli occhi verdi, la melanina si trova in piccolissime quantità sia nella parte esterna, che in quella interna. In rari casi, è anche possibile avere ciascun occhio di un colore diverso: questo fenomeno è chiamato eterocromia.
E quale potrebbe essere il colore degli occhi di mio figlio?
Gli occhi scuri sono un tratto dominante, ecco perché circa il 90% della popolazione mondiale ha gli occhi marroni. Circa l’8–10% della popolazione mondiale ha gli occhi azzurri. Ultimo il verde: è il colore degli occhi più raro con un modesto 2%.
Quindi, in linea generale, un individuo con gli occhi chiari avrà entrambi i genitori con gli occhi chiari, mentre una coppia con gli occhi chiari non avrà un figlio con gli occhi scuri.
Spesso il colore degli occhi del nascituro può essere “previsto” basandosi sul colore degli occhi dei genitori e dei nonni. Tuttavia, è importante sapere che, in alcuni casi, possono verificarsi delle variazioni genetiche che potrebbero risultare in un colore di occhi inaspettato nel bambino.
In passato, gli scienziati credevano che il colore degli occhi fosse determinato da un singolo gene e che, pertanto, questo tratto seguisse un pattern di ereditarietà molto semplice. Si credeva dunque, ad esempio, che una coppia con gli occhi azzurri non potesse generare un figlio con gli occhi marroni. Studi più recenti hanno invece dimostrato come questo modello fosse fin troppo semplicistico. Per quanto sia poco comune, due genitori con gli occhi azzurri possono generare un figlio con gli occhi marroni. L’ereditarietà del colore degli occhi è una questione molto più complessa di quanto non si credesse un tempo, proprio perché coinvolge più geni.
Il colore degli occhi può variare? Potrà sembrare assurdo, ma la risposta è sì. Vi sorprenderà sapere che una serie di fattori può incidere su questa caratteristica.
– età: molti bambini nascono con gli occhi blu e questo colore va poi a modificarsi con la crescita. Questo avviene perché, alla nascita, la produzione di melanina è appena iniziata e l’organismo ne contiene una quantità più bassa. Tendenzialmente, il colore degli occhi si stabilizza all’età di tre anni. In età avanzata, invece, gli occhi possono schiarirsi, proprio come accade ai capelli che imbiancano, perché la produzione di melanina diminuisce con l’invecchiamento.
– abitudini alimentari: particolari diete possono portare ad una variazione del colore degli occhi. Alcuni naturopati sostengono che cibi come gli spinaci e il miele possano schiarire l’iride. Fermo restando che è necessaria una dieta varia ed equilibrata che faccia bene alla nostra salute generale e oculare, per il momento non ci sono prove scientifiche circa la capacità di modificare permanentemente il colore dei nostri occhi.
– infortuni oculari: infortuni possono modificare il colore dei nostri occhi. I traumi, per esempio, possono colpire la melanina contenuta nell’occhio e causare un cambio di colore totale e/o parziale nell’iride.
– terapie oculari: alcune terapie farmacologiche, soprattutto se protratte nel tempo, possono portare ad una variazione del colore degli occhi.
Qualsiasi colore di occhi abbiamo, ricordiamoci sempre di un fattore importantissimo: proteggiamoli dalla luce del sole con un occhiale adatto e facciamo sempre regolari visite oculistiche.
Il gusto del vino è stato studiato sistematicamente fin dall’inizio della ricerca in campo sensoriale, con vari scopi legati alla qualità del prodotto e alle preferenze dei consumatori. I recenti progressi delle neuroscienze hanno permesso di approfondire le modalità di elaborazione cerebrale delle percezioni suscitate dalle molecole attive nel gusto. In particolare, le implicazioni delle caratteristiche sintetiche, emotive e di rappresentazione mentale dell’olfatto, insieme alle influenze cross-modali sulla percezione del sapore, dovrebbero essere adeguatamente riconosciute nei metodi di degustazione[1].
“Il gusto di una molecola o di una miscela di più molecole si costruisce nel cervello di un assaggiatore” dicevano Morrot, Brochet e Dubourdieu[2] nel 2001. La percezione del gusto infatti e le emozioni provocate in fase della degustazione di un prodotto come per esempio il vino, possono cambiare e allinearsi alle aspettative create dalla comunicazione e le attività di marketing legate al prodotto. Seppure la valutazione relativa alla qualità del prodotto in sé non potrà cambiare, certamente l’emozione provocata dal contesto in cui il prodotto viene assaggiato, la comunicazione nonché il colore dello stesso vino possono influenzare la preferenza soggettiva del consumatore. Il colore può determinare fino all’ 85% delle decisioni di acquisto di un prodotto perché evoca emozioni e passioni e la sua percezione precede la fase di processamento cognitivo degli stimoli influenzando le decisioni.
I colori convenzionali del vino sono bianco, rosso e rosato ma dietro queste tre macro categorie si nascondono tante sfumature di tonalità e di gusti con il rosso porpora, rubino, granato e aranciato; il giallo verdolino, paglierino, dorato e ambrato; il rosa tenue, cerasuolo e chiaretto. Le variabili che influenzano i colori sono legate alla tipologia di macerazione e fermentazione, all’utilizzo di contenitori in legno durante l’affinamento, alla quantità di anidride solforosa impiegata, alle caratteristiche territoriali del vitigno oppure semplicemente all’evoluzione della bottiglia.
Non tutti sanno che esistono anche vini dalle sfumature cromatiche bizzarre. Vini che mescolati con pigmenti naturali della buccia dell’uva assumono un colore blu o azzurro, o verdi utilizzando erbe estratte a freddo nel vino durante la vinificazione. Esistono varianti di vino di colore giallo-verde jalapeño, oppure vini di colore arancione ottenuti da uva bianche lasciate con le loro bucce e semi intatti per un periodo prolungato di tempo.
Ovviamente, un vino non buono non potrà mai cambiare la sua essenza, ma l’emozione provocata dal colore o dalla tipologia di packaging può influenzare la scelta e l’esperienza sensoriale del consumatore.
La valutazione di un vino comincia con l’analisi visiva ed è proprio attraverso il suo colore che comincia a parlarci di sé in modo chiaro e deciso oppure sfuggente. Il nostro stato d’animo legato al colore e alle aspettative ci porterà alla decisione finale. Chi sarà coraggioso abbastanza per assaggiare un vino blu?
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2. Impostiamo lo standard colorimetrico (CIE31, CIE64), lo spazio colore (sRGB, AdobeRGB, Wide Gamut/P3, Prophoto) e l’illuminante (D50, D65, etc.). Scegliamo la cartella di destinazione (di default la stessa di origine) ed un eventuale prefisso, per distinguere le immagini finali da quelle originali, così che possano convivere nella stessa cartella, e lanciamo il calcolo della calibrazione. In pochi secondi vedremo l’effetto della calibrazione sul ReferenceColorChecker.
3. Applichiamo la calibrazione ottenuta a tutte le immagini scattate sullo stesso set senza alcun intervento manuale. Le immagini verranno salvate a scelta in uno dei formati file TIFF 8 e 16 bit, PNG 8 e 16 bit e JPEG.
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In questi esempi gli scatti sono stati fatti in formato RAW (NEF) con una Nikon Mirrorless Z7 da 46 Mpixel, con obiettivo 50mm, impostata con bilanciamento del bianco su Luce Naturale (Sole) e sottoesposizione -1EV. l’Illuminazione, laterale da destra a 45°, è fatta con alogena Ianiro da 3200K.
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Dégradé, armonie e sovraimpressioni nella pittura contemporanea
(di Gianluca Sgalippa) – Marzo 2022
La pittura astratta, specialmente nella versione geometrica, ha sempre governato la tensione tra intuito e razionalità, tra equilibrio visivo e atteggiamento dirompente rispetto alla tradizione accademica. Da Mondrian all’Astrattismo contemporaneo, arte e scienza intrattengono un rapporto ambiguo ma simbiotico, teso a disvelare il potenziale espressivo delle forme schematiche.
In quell’indirizzo artistico, i diversi autori hanno attribuito alla ricerca cromatica e alle soluzioni geometriche pesi differenti. Variabile è sempre stato anche il rapporto tra teoria e pratica: la produzione di autori come Klee e Kandinskij si è intrecciate con i rispettivi contributi teorici, talvolta con esiti dissociati.
Insomma, non è mai esistito un approccio scientifico alla pittura astratto-geometrica, nonostante le fonti euclidee e gli studi sulla percezione in chiave fisiologica.
Solo l’avvento del digitale – con tutta l’asetticità dello strumento informatico – le composizioni astratte possono strutturarsi su un fortissimo rigore cromatologico. Non assoluto, vista la diversità fra i sistemi di colori, però forte delle formulazioni multidisciplinari maturate nel corso del ‘900.
Dobbiamo riconoscere che la stessa grafica digitale fornisce temi del tutto nuovi rispetto al passato. Innanzitutto il pixel, particella elementare delle immagini binarie, viene identificato come elemento linguistico a tutti gli effetti, a costo dell’omologazione tra un autore e l’altro… e anche dell’equivalenza tra stampa digitale e realizzazione ad acrilico su tela…
Lo sanno bene artisti contemporanei come lo statunitense Jeff Davis e @magenta.mind, di cui ci sfugge l’appartenenza geo-culturale.
Dal loro lavoro però emerge una scelta ulteriormente identificativa. Essi non utilizzano i pixel solo per la formazione di griglie ortogonali. La quadrettatura rappresenta il riferimento per la creazione armonie cromatiche, per le quali il Sistema Cromatico NCS offre importanti strumenti, codificazioni e linee metodologiche. Le infinite gradazioni tonali diventano vera materia linguistica, quasi a voler rivelare il DNA della cromatologia.
Se le loro matrici cromatiche costituiscono l’aggregazione più elementare del quadrangolo-nuance, troviamo formulazioni più complesse nell’attività del greco Argiris Ser, che applica il tema delle gradazioni alle strisce parallele, dell’argentino Felipe Pantone, innamorato dei contrasti dinamici da computer graphics, e Aez 213, perennemente alla ricerca di pattern con intricati effetti chiaroscurali.
Questo scenario affonda le proprie radici nell’Optical, con chiari debiti verso figure come Piero D’Orazio e Carl Krasberg, con i suoi giochi di fitte intersezioni di pattern a contrasto.
“Ringraziare desidero perché sono tornate le lucciole (…)” Sono le parole della poetessa Mariangela Gualtieri recitate da Jovanotti sul palco dell’Ariston all’ultimo Sanremo. “Darei l’intera Montedison per una lucciola”. Così, invece scriveva Pier Paolo Pasolini in un articolo per il Corriere della Sera nel febbraio del 1975 (*). In quegli anni le lucciole erano davvero una presenza caratteristica nei giardini e anche nei più piccoli fazzoletti di terreno incolto delle nostre città. Mai articolo fu più profetico e premonitore; oggi le lucciole sono quasi completamente sparite dal nostro panorama visivo, di sicuro lo sono negli ambienti urbani. Sopraffatte oltre che “dall’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (*)”, anche dall’inquinamento luminoso. La luce che emanano è il loro richiamo per l’accoppiamento, l’aumento progressivo della luminosità ambientale diffusa ovunque azzera la potenza di questo strumento condannandole all’estinzione. “Mentre in alcune specie animali la bioluminescenza serve ad attrarre le prede o a difendersi dal predatore, nelle lucciole si tratta innanzitutto di una parata sessuale. Le lucciole non si illuminano affatto per illuminare un mondo che vorrebbero vedere meglio (**).
Immagine del quadro “Carnation, Lily, Lily Rose” di J. S.Sargent del 1885 Tate Gallery-Londra (downloaded da Google Art Project).
LUCE PER IL BENESSERE DI TUTTI Un buon progetto illuminotecnico deve mirare al raggiungimento di un alto livello di benessere percepito da tutti (non solo da noi Sapiens ma anche dalle lucciole). Con questo “Manifesto” si suggerisce un approccio al progetto della luce di ambiti naturali come i parchi e i giardini che sia attento alle esigenze degli umani ma anche rispettoso dell’ambiente e di tutti coloro che in questi luoghi trovano il proprio habitat ed altamente sostenibile. Il “fil-rouge” che ci condurrà in questa ricerca è l’ABBASSAMENTO.
ABBASSAMENTO dei livelli di luce. Compito del progetto illuminotecnico sarà quello di individuare in ogni situazione i livelli minimi e quelli massimi, puntando sullo strumento dell’omogeneità per il rispetto dei livelli medi imposti dalle norme. L’ABBASSAMENTO delle intensità luminose e dei conseguenti illuminamenti massimi ha due portati fondamentali: il primo è la riduzione delle luminanze a terra e sulle superfici circostanti. L’apporto delle luminanze a terra all’inquinamento luminoso è una sorta di “convitato di pietra” delle norme antinquinanti: non viene preso in considerazione ma la sua presenza è estremamente ingombrante. Il tentativo di ridurlo, al di fuori delle prescrizioni normative, è un passo importante sulla via della costruzione di un progetto rispettoso dell’ambiente a tutti i livelli. Il secondo portato dell’ABBASSAMENTO delle intensità luminose è l’abbattimento dei consumi elettrici: evitando di produrre luce non necessaria o non fruita dagli umani e quindi di troppo per l’ambiente.
Disegno dell’autore.
ABBASSAMENTO delle altezze dei lampioni: il primo obiettivo è il contenimento dell’inquinamento luminoso atmosferico. Le norme propongono che la luce che esce dai lampioni non superi il livello dell’orizzonte. Sappiamo tuttavia che i fasci di fotoni vicini all’orizzonte, pur rispettando le indicazioni normative, sono capaci di percorrere in orizzontale decine e decine di Km finché non trovano adeguati ostacoli che li bloccano.
Passerella pedonale con abbassamento della quota dell’illuminazione a livello del parapetto (foto dell’autore).
Disegno dell’autore.
L’ABBASSAMENTO delle altezze dei lampioni riduce la capacità di dispersione orizzontale dei fasci luminosi ottenendo come primo risultato il contenimento dell’inquinamento luminoso atmosferico.
Disegno dell’autore.
ABBASSAMENTO della temperatura di colore dei lampioni. Partendo dall’indicazione delle norme più recenti che individuano il valore di 4000K come livello massimo da usare in ambiente esterno, qui si propone l’impiego di sorgenti a luce ancora più calda, con sempre minori emissioni spettrali nella gamma dei blu, fino a preferire l’impiego di sorgenti a base ambrata. Ottenendo così una sorta di “Ritorno al futuro”: il recupero consapevole e tecnologicamente evoluto della luce dorata delle vecchie lampade al sodio, che illuminavano fino a qualche anno fa i nostri parchi e giardini, oggi bistrattate ma inconsapevolmente molto più rispettose dell’ambiente e, a conti fatti, anche più gradevoli. L’ABBASSAMENTO delle temperature di colore è funzionale all’immissione nell’ambiente di minori quantità di flussi spettrali con le lunghezze d’onda maggiori, relativi ai blu/azzurri. Sappiamo che la tecnologia dei LED produce luce bianca a partire dai LED blu che sollecitano i fosfori che a loro volta producono tutto il resto dello spettro luminoso.
Diagrammi spettrali tipici della luce artificiale (Elaborazione grafica dell’autore)
E’ poi compito dei meccanismi della percezione umana la visione del bianco. Più è alta la temperatura di colore del bianco e maggiore è la quantità di blu che lo compone. ABBASSANDO la temperatura del bianco diminuisce fino quasi a sparire la componente blu. Numerosi studi scientifici legano molti problemi ambientali alla presenza della luce blu nello spettro dei lampioni usati recentemente. Il blu è l’elemento dominante della luce solare, che ha una temperatura di colore variabile ma comunque mediamente molto alta. (genericamente siamo intorno al valore di 6500 gradi Kelvin di temperatura di colore).
Diagramma spettrale tipico della luce naturale (Elaborazione grafica dell’autore)
Replicare la luce blu nelle sorgenti di luce artificiale crea scompensi disastrosi nei cicli vitali della fauna, degli insetti e della flora. Tipicamente gran parte della Flora non “vede” la luce gialla. Illuminare una pianta con luce a dominante giallastra equivale a tenerla al buio. Illuminandola con luce molto azzurrata la condanniamo ad uno stato di veglia perenne: dall’alba al tramonto vede la luce del sole e dal tramonto all’alba i lampioni a luce fredda.
ABBASSAMENTO della quantità di luce artificiale. Il valore medio dell’illuminamento portato sulla terra dalla luna piena in una notte serena è di circa 1Lux. E’ un valore che conosciamo a livello ancestrale e su cui l’evoluzione genetica del nostro apparato visivo ha impostato i livelli minimi di percezione. Questo illuminamento appartiene alla nostra esperienza; sappiamo che passeggiando alla luce della Luna piena il nostro corpo getta delle ombre nitide a terra; sappiamo che con 1Lux sono garantiti l’orientamento e la sicurezza, riusciamo a seguire un percorso, individuare gli ostacoli e riconoscere le persone. Invece con meno di 1Lux il nostro apparato ottico-visivo fatica ad attivare i Coni e lavorano solo i Bastoncelli, quindi si attiva la nostra modalità notturna: vediamo in Bianco e Nero, vengono messe fuori gioco tutte le questioni legate alla resa cromatica della luce. Abbassando la quantità della luce si rende inutile che quella luce sia di grande qualità, una luce dorata va più che bene.
John Constable, A Lake by Moonlight (1780 -82), (download da Google art Project).
IL RUOLO DELLA TECNOLOGIA Aumento dell’efficienza dei pannelli solari fotovoltaici, miniaturizzazione delle batterie di accumulo, evoluzione dei sensori di luminosità, comunicazioni via Bluetooth. Lo sviluppo tecnologico di questi elementi sta rendendo disponibili sul mercato tutta una serie di prodotti di illuminazione “stand-alone” energeticamente sufficienti che non richiedono una invasiva struttura di cablaggio e canalizzazioni. L’energia per funzionare la prendono dal sole e le comunicazioni per il controllo passano via etere. Stiamo parlando di apparecchi di illuminazione che portano al loro interno tutto ciò che serve per trasformare i raggi solari in energia elettrica, poi accumulata in batterie di ultima generazione e rilasciata alla bisogna, per alimentare LED ad alta efficienza grazie a sensori di rilevamento luminoso e comandati da una rete di comunicazione via Bluetooth che si replica di apparecchio in apparecchio raggiungendo in modo virtuale tutti i terminali della rete. Funzionale a questo gioco l’abbassamento dei livelli di illuminamento previsti in modo da “allungare” temporalmente le capacità di alimentazione delle batterie di accumulo: illumino di meno, consumo meno, l’energia accumulata dura di più. Non si tratta di una previsione da Science-Fiction ma di un progetto che, al momento attuale, ha il solo limite economico per diventare realtà quotidiana. Diffusa ovunque. Limite economico superabile con un progetto che tenga conto di tutte le voci dell’impianto per individuare una corretta tempistica per il ritorno d’investimento e quindi lo renda realizzabile.
NOTE e BIBLIOGRAFIA: (*) L’articolo sarà poi raccolto nel volume “Scritti corsari” col titolo: L’articolo delle Lucciole.
(**) Georges Didi-Huberman, “Come le lucciole. Una politica delle sopravvivenze”. Bollati Boringhieri 2010.
Irene Borgna, “Cieli neri. Come l’inquinamento luminoso ci sta rubando la notte”. Ponte alle Grazie 2021
Gerhard Auer, “Vivre la sobriété en éclairage”. Light Zoom Lumière 2021
“Vorrei catturare con una foto i colori veri, naturali, quelli che vedrei se avessi il soggetto davanti ai miei occhi”
Quante volte abbiamo pensato una cosa di questo genere? Quante volte avremmo voluto poter scattare una foto ed ottenere una immagine uguale a quello che vedevamo ad occhio nudo?
Le dispute sui colori, sulla loro natura e sul modo di classificarli ed identificarli hanno tenuto banco da sempre nella storia dell’Umanità, ed ancora di più dal 18mo secolo quando, per primo, Isaac Newton dimostrò come la luce bianca fosse in realtà una miscela di tutti i colori dell’arcobaleno, ispirando quindi infiniti tentativi di ordinamento e catalogazione dei colori stessi.
Ma solo 200 anni più tardi, all’inizio degli anni ’30, la CIE (www.cie.co.at), organo internazionale di standardizzazione, definiva per la prima volta il concetto di misura scientifica del colore che ha portato poi alla odierna misura di colore CIELAB, universalmente utilizzata.
La precisione dei colori che vediamo in una immagine è frutto di due passaggi fondamentali: la ripresa e la restituzione.
La ripresa fotografica (digitale) ha il compito di trasformare gli spettri di colore della scena reale nei corrispondenti valori CIELAB. Questo passaggio è influenzato da due fattori: lo spettro (colore) della luce che illumina la scena, e la sensibilità spettrale (caratteristica cromatica) della fotocamera.
Attraverso il colorchecker posto sulla scena, VisiPick è in grado di calcolare la calibrazione per correggere contemporaneamente questi due fattori e restituire una immagine obiettiva, indipendente sia dalla luce che dalla specifica fotocamera utilizzata. Il colorchecker ha la stessa funzione che ha il metro quando misuriamo qualcosa: è un riferimento preciso per ottenere misure affidabili.
Allestito un setup di ripresa, con luci continue (anche in cabina di luce), flash o anche all’aperto con luce naturale, con la nostra fotocamera scattiamo una foto al colorchecker e poi a tutti i soggetti di nostro interesse posti nelle stesse condizioni. VisiPick riconoscerà automaticamente la foto col colorchecker, calcolerà la calibrazione e l’applicherà a tutte le foto fatte, dalle quali otterremo i colori fedeli di quanto ripreso, a prescindere dalle condizioni in cui avremo fotografato.
Per la restituzione delle immagini, VisiPick permette di scegliere il profilo di colore associato alle immagini, cioè quel tipo di metadati che permette a qualsiasi software di visualizzazione sullo schermo i colori corretti a partire da immagini corrette.
VisiPick fornisce una totale flessibilità nella restituzione delle immagini, permettendo di esprimerle in associazione ad uno dei molti profili di colore standard (sRGB, AdobeRGB, WideGamut, ProPhoto) ed allo stesso tempo nel formato file che si desidera, a scelta tra TIFF 16 o 8 bit, PNG 16 o 8 bit o JPEG.
L’uso di VisiPick è immediato, non richiede alcuna competenza specifica e produce risultati eccellenti in tempi estremamente brevi.
Carl Gustav Jung (Kesswil, 26 luglio 1875 – Küsnacht, 6 giugno 1961) è un noto psichiatra, psicoanalista, accademico svizzero, una delle principali figure intellettuali del pensiero psicologico, psicoanalitico e filosofico di tutti i tempi.
Il suo pensiero di matrice psicoanalitica, prende il nome di “psicologia analitica” o “psicologia del profondo”. In principio allievo di Sigmund Freud, allineato alle sue idee, se ne discostò nel 1913, prendendo una strada che si ispirava a concetti diversi.
Carl Gustav Jung riteneva che il comportamento dell’uomo non sia condizionato soltanto dalla sua storia individuale o dal contesto, ma anche dalle sue ambizioni e fini. Sia il pensiero del passato, sia il pensiero del futuro inteso come possibilità, condizionano le sue azioni e le sue scelte personali.
In particolare riteneva che ci fosse un “inconscio collettivo” che si esprime negli archetipi, oltre a un inconscio del singolo, o personale, ossia in ciascuno di noi.
La vita dell’individuo è vista come un percorso, chiamato “processo di individuazione, di realizzazione del sé, e personale” .
Con lo studio della “psicologia analitica” o “psicologia del mondo”, Jung chiarì l’esistenza delle personalità estroverse ed introverse e del potere dell’inconscio.
Jung era inoltre molto interessato alle proprietà e al senso dei colori, nonché al collegamento tra arte, colore e la psicoterapia, i suoi studi e scritti sul simbolismo del colore spaziano moltissimo. Coi suoi studi sull’uso del colore ed effetti nel tempo sull’uomo e sulle culture, nonché nell’esaminare i mandala autoprodotti dei suoi pazienti, tentò di sviluppare un sapere, le cui cifre fossero i colori.
A questo proposito Jung si dedicò alla stesura di quattro saggi sui Maṇḍala, i disegni rituali buddisti e induisti, dopo averli studiati per oltre venti anni. Secondo Jung, durante i periodi di tensione psichica, figure mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per portare o indicare la possibilità di un ordine interiore, una strada percorribile. Il simbolo del mandala, quindi, non è solo un’affascinante forma espressiva ma, è anche una forza che, esercita un’azione su chi lo disegna, perché in questo simbolo si nasconde un effetto magico: l’immagine si dipana intorno al centro, come a creare un sacro recinto della intima personalità del soggetto che disegna, un cerchio protettivo che allontana dalla “dispersione” e dalle preoccupazioni provocate dall’esterno.
Jung studiò anche l’”alchimia” per approfondire la sua conoscenza del linguaggio segreto del colore, e associò i colori ai tipi psicologici umani, a partire dagli atteggiamenti, di “introversione” o di “estroversione” e dalla loro combinazione con la funzione dominante.
Jung pensava a quattro funzioni dominanti: pensiero, sentimento, sensazione, intuizione. Il pensiero e il sentimento sono “razionali”, in quanto sono condizionati dalle valutazioni, mentali e affettive, mentre la sensazione e l’intuizione procedono per “percezioni”, riferentisi a ciò che si percepisce immediatamente.
Le funzioni dominanti sono espresse da colori come: l’azzurro, colore del cielo, è associato al pensiero, il rosso, il colore del sangue e della passione, è da Jung associato al sentimento; il giallo, colore della luce, dell’oro, dell’intuizione; il verde il colore della natura, della crescita e sensazione. Jung avanzò l’ipotesi che il gusto personale verso determinati colori sia legato alla funzione che caratterizza il proprio tipo psicologico.
Per cui la psicologia dei colori può essere definita come lo studio delle tonalità inteso quale determinante del comportamento umano.
Detto ciò Il colore ha la capacità di provocare particolari emozioni nelle persone. A questo proposito va precisato che lo stesso uomo delle caverne aveva ben chiaro quanto il colore fosse espressivo e necessario nella rappresentazione di una scena o di una emozione; come nella rappresentazione delle terre colorate, con cui metteva in scena situazioni di vita e di caccia, e momenti nelle sue caverne.
I primi colori conosciuti e usati sono stati il rosso (associato al sangue, alle ferite, al corpo), il giallo (associato alla luce solare), il verde (associato al verde della vegetazione), il blu (associato al cielo notturno).
Gli antichi Greci nutrivano un grande interesse per la questione della luce e dei colori. I filosofi presocratici, ritenevano che l’universo si sintetizzasse in quattro colori, che rappresentavano i suoi quattro elementi costitutivi: il nero, (terra); il verde (l’acqua); il rosso (fuoco); il bianco (l’aria).
In pratica non c’è alcuna civiltà umana che non abbia utilizzato il colore, come strumento fondamentale di espressione delle emozioni e del sentire umano, all’interno di una creazione artistica.
Infatti al colore non soltanto si collega il semplice concetto di bellezza, ma anche una vera e propria forza psicologica, e forse magica.
Letterati e studiosi di diverse epoche hanno studiato i colori; da Jung a Rousseau che considerava i colori come una forma di linguaggio dell’“anima universale”, come uno strumento in grado di superare la porta di misteri antichi, che possono portare alla comprensione dell’universo.
Johann Wolfgang von Goethe, (Francoforte sul Meno, 28 agosto 1749 – Weimar, 22 marzo 1832) celebre scrittore e filosofo, la cui opera è stata utile, sia per considerazioni filosofiche sul colore, sia per lo sviluppo della colorimetria, secondo cui, “la scienza è uscita dalla poesia”, nelle “Metamorfosi delle piante” confidò al suo amico Johann-Peter Eckermann:
“Io non provo orgoglio per tutto ciò che come poeta ho prodotto. Insieme a me hanno vissuto buoni poeti, altri ancora migliori hanno vissuto prima di me, e ce ne saranno altri dopo. Sono invece orgoglioso del fatto che, nel mio secolo, sono stato l’unico che ha visto chiaro in questa difficile scienza del colore, e sono cosciente di essere superiore a molti saggi”. (Goethe, da una conversazione con Johann Eckermann del 19 febbraio 1829])
A questo proposito “Goethe afferma che non è la luce bianca a scaturire dalla sovrapposizione dei colori, bensì il contrario; i colori non sono primari, ma consistono in un offuscamento della luce, o nell’interazione di questa con l’oscurità” (Wikipedia, 2021).